PROPRIO COSÌ! Si tratta di una storia assurda, se non fosse, purtroppo per me, vera. E’ una di quelle storie che ti rovina la vita, proprio come quando al mattino di una qualsiasi giornata che si prospetta normale, esci di casa e ti travolgono sulle strisce. E finisci in carrozzella a ricominciare da capo una esistenza diversa. È una storia che può succedere quando lavori nella Pubblica Amministrazione – anche se certamente non capita solamente lì – e a dispetto del mito del lavoro tranquillo e del posto sicuro (forse è così, ma solo per gli inetti e i vili). Forse anche a voi sembrerà tanto più assurda proprio per il fatto che accade in quel luogo, immaginario e reale allo stesso tempo, che dovrebbe ed ha la pretesa di essere depositario di regole, certezza del diritto, trasparenza, imparzialità, buon andamento … e chi vuole aggiunga pure altre belle parole.
È una storia che va raccontata, a onore di coloro cui verosimilmente è capitata la stessa cosa, e perché possa giovare a coloro cui potrebbe capitare domani. Per prevenire, non si sa mai! È una storia con molti protagonisti, anche se ovviamente, come in tutte le storie, ci sono primi attori e le comparse. Protagonisti nel bene (pochi) e nel male, e il tutto a danno dei contribuenti del Comune di Limbiate, sfortunata cittadina del Milanese. È una storia cominciata nel 2001, con l’avvento della nuova Amministrazione Comunale guidata dal sindaco Antonio Romeo, e proseguita in questi anni soprattutto nelle aule della Sezione Lavoro del Tribunale di Milano, ma non solo, perché anche il contorno di come si possano eludere le regole a danno della Pubblica Amministrazione è rilevante, e gli enti pubblici interessati sono tanti. È una storia che vi regalo come racconto, ma a farla saranno soprattutto i fatti. Soprattutto per la vicenda giudiziaria mi asterrò dalle opinioni lasciando parlare i giudici con le sentenze.
Oggi, 1° giugno 2010, sono tornato al mio posto di lavoro come dirigente del Comune di Limbiate
Sentenza della Cassazione – Sezioni Unite del 16 febbraio 2009, n. 3677
Comunicato stampa del 18 febbraio 2008
10 febbraio 2008
La storia di questa brutta vicenda non l’ho ancora scritta, ma mi riprometto di trovare il tempo di farlo. Anzi di farci un libro. Se non altro per dare forma a quel diario che dall’estate 2001 continua (purtroppo) ad arricchirsi quasi ogni giorno di annotazioni. Intanto però è opportuno aggiungere ancora qualche precisazione in questa pagina, sia perché i tanti che hanno scritto chiedono di essere aggiornati sia perché gennaio appena terminato ha riportato la vicenda di Limbiate all’attenzione dei media, con diversi articoli sui giornali e perfino un servizio al TG3 regionale. Un’attenzione inconsueta e intensa, seppure tardiva e in parte fuorviante, tutta concentrata ovviamente sugli aspetti giudiziari della vicenda, quelli che del resto fanno cronaca. Gli altri aspetti che da quella ne sono discesi, le norme amministrative e giuslavoriste rese carta straccia da molti enti e i molti muri di gomma innalzati, sono noiose appendici per i cronisti, anche se io ne porto le pesanti conseguenze.
Un’attenzione dei media che negli anni scorsi non c’era mai stata, quando pure il Comune di Limbiate veniva condannato in primo grado e in appello a pagare ingenti danni a due dirigenti per i provvedimenti illeciti e discriminatori messi in atto nei loro confronti dal sindaco Romeo e dall’allora direttore generale Giammarrusti. Un’attenzione che ha preso il via con l’articolo sulle pagine de Il Giorno del 4 gennaio 2007 e poi si è allargato ad altre testate locali e anche alla televisione (TG3 del 5 gennaio). Altri articoli sono poi comparsi a ripetizione ancora su Il Giorno, sulle pagine di Limbiate de Il Giornale di Desio e sulle pagine di Meda de Il Cittadino e de Il Giornale di Seregno. Queste ultime uscite in verità sono state un po’ “fuori zona”, e giustificabili solo da un certo pruriginoso interesse paesano per il coinvolgimento di chi, come me, riveste un modestissimo ruolo, ancorché in senso lato “pubblico”, di presidente della Pro Loco cittadina, e per aver ricoperto il Giammarrusti, dopo l’incarico di Limbiate, quello di direttore generale del Comune di Meda negli ultimi tempi dell’Amministrazione Asnaghi.
Quest’intenso proliferare di articoli a stampa deve aver preso le mosse – se la mia ricostruzione è esatta – dall’eco avuta dall’iniziativa di qualche consigliere di minoranza di discutere pubblicamente la citazione da parte della Procura della Corte dei Conti di Milano dei responsabili dei danni subiti dal Comune di Limbiate a seguito delle condanne di cui ho già detto in questa pagina. La notizia del rinvio alla Corte per il giudizio – che come notizia, da quello che posso aver capito dagli articoli, non era poi neanche tanto fresca – e poi il passaggio in televisione devono aver generato inevitabilmente altro interesse e curiosità, soddisfatta da diversi cronisti locali nelle settimane successive, in vario modo e con risultati molto discutibili. Il rimbalzo da un giornale all’altro, le diverse opinioni, lo svolgimento di una riunione di Consiglio Comunale su questo tema, hanno mantenuto i riflettori accesi più di quanto in questi casi ci si può aspettare.
Ognuno ha detto e scritto la sua, talvolta con scarsa lucidità di argomentazioni, di titoli e di analisi, e con risultati che possono aver permesso ai lettori di farsi sì una vaga idea della vicenda, ma che in certi casi devono aver generato molta confusione (per usare un eufemismo). Ognuno ha commentato, compresi Giammarrusti e, in particolare, Romeo, che rivestendo un ruolo politico-amministrativo è stato più volte chiamato logicamente a dire la sua. Gli unici a rimanere lontani dalle colonne dei giornali, pur essendo le vittime dei comportamenti illeciti del sindaco e del direttore generale, siamo stati io e il mio collega di vicenda D’Amato. Tutt’al più qualcuno è venuto a dare una sbirciata in questa pagina.
Dagli articoli dei giornali la conseguenza immediata e pratica, oltre che beffarda, è stata che per quasi tutti quelli che conosco avevo praticamente vinto la lotteria della Befana. Lavoro, vita, famiglia e carriera rovinata, oltre a quello che si può passare lavorando per un anno per quelli che ti vogliono mandare in malora, non sono stati presi minimamente in considerazione. A questo punto aggiungere qualche riga in questa pagina prima di una ricostruzione puntuale (che verrà!) non è solo ragionevole ma anche doveroso. Per amore di verità. Per fare quelle necessarie precisazioni che sole possono aiutare a capire ciò che può succedere di questi tempi in una amministrazione pubblica lombarda. Milano insegna, ma non ce ne sarebbe bisogno, perché sono cose che capitano dappertutto dall’inizio del mondo. Di quali pressioni si possono esercitare sulla dirigenza pubblica sono state, sono e saranno sempre piene le cronache. Ciò che fa la differenza è l’accoglienza e il livello di indignazione che la notizia suscita, minimo di questi tempi.
Per chi ha subito la vicenda e i suoi effetti la cosa più singolare di questo piccolo affollamento mediatico di gennaio sono state comunque le dichiarazioni del sindaco Romeo e di Giammarrusti. Prendo ovviamente per buone quelle riportate dai media, o perché “virgolettate” o perché chiaramente indicate come loro dichiarazioni. Riportate quasi sempre in modo acritico dai cronisti – che nel caso migliore hanno affiancato in una cornice qualche passo delle sentenze per un confronto – hanno finito per sembrare più o meno “l’altra verità”, l’opinione che si confronta con certi giudici che si permettono di sindacare l’operato degli amministratori. Sindaco e direttore generale, e in particolare Giammarrusti (Giornale di Seregno del 15 gennaio), non riescono a capire dove sarebbe il danno per il comune, tant’è che le funzioni dei dirigenti rimossi venivano svolte lo stesso, senza per altro pagare neanche uno stipendio supplementare per questo superlavoro! Tipo fai per tre, paghi uno …
La cosa tuttavia che mi sembra più grave sono le parole di Romeo sul Giornale di Desio del 22 gennaio, quando reitera il concetto che i dirigenti sono stati allontanati per negligenza, aggiungendo che il Comune di Limbiate sarebbe stato il primo a trovare il coraggio di farlo. Naturalmente dice che farebbe nuovamente le cose che ha fatto, sottintendendo che ha fatto delle cose giuste. L’affermazione sulla negligenza merita di essere presa in considerazione solo per una querela per diffamazione, e in effetti, venuti a sapere solo ora di quell’articolo, col mio collega stiamo valutando la cosa. Su tutto il resto che dicono c’è poco da ragionare. Nell’epoca in cui si festeggiano le condanne con i cannoli, si applaude da ogni parte alle povere vittime di ogni indagine e si approvano regole ad personam per farsi assolvere non ci si può certo stupire dell’atteggiamento di Romeo. Si sono appena assopite le grida di dolore della Mastelliade. Fossimo in un Paese normale, un sindaco si sarebbe dimesso, ma siamo da tempo in Italia e non si può fare a meno che seguire gli esempi che vengono dall’alto.
Quella della negligenza era voce che girava i primi tempi del nostro allontanamento da Limbiate. Romeo sa bene però – e se dovesse non saperlo, può rileggersi le sentenze – che i dirigenti non sono stati allontanati dal Comune per negligenza ma per i motivi discriminatori che i giudici hanno appurato. Aggiungo io: sono stati allontanati dirigenti abituati a fare il proprio lavoro con la dignità che le loro funzioni richiedono, dirigenti che sanno tener fede al giuramento che hanno fatto di rispetto della legge e del principio di imparzialità, non abituati a essere proni davanti agli interessi di turno, di qualunque partito fossero gli amministratori. Di ciò ne è prova l’apprezzamento di ogni Amministrazione presso cui ho lavorato e il fatto che l’inizio e ogni avanzamento me lo sono dovuto sudare per concorso, avendo da competere anche con gli “interni”. Quelli che mi conoscono sanno come sono fatto.
Forse è opportuno che Romeo e Giammarrusti, trascorsi oramai diversi anni, diano almeno una lettura alle sentenze e provino a porsi delle semplici domande. Nel racconto, nelle motivazioni e nelle decisioni dei giudici troverebbero altrettante semplici risposte. Giudici chiamati a giudicare in nome del popolo italiano. Non di qualche toga rossa prevenuta nei loro confronti si è trattato, ma di un collegio intero in appello e di un giudice che in primo grado ha valutato faldoni di documenti e interrogato testimoni per una giornata intera. Leggendo forse capiranno perché un Procuratore non può fare altro che chiedere alla Corte dei Conti di condannarli. Si può provare a suggerire loro qualche domanda: Perché il Comune di Limbiate ha pagato così ingenti danni? Chi ha causato questi danni? Perché sindaco e direttore generale di un comune hanno messo in opera non uno ma tutta una serie di comportamenti illeciti? Quanto è durata tutta la vicenda, nonostante da subito i dirigenti avessero cercato di attivare ogni strumento di soluzione extragiudiziale? Gli sembra di essersi comportati secondo le regole di correttezza che devono reggere un comune normale? E si potrebbe continuare con molte altre …
La bugia di Romeo sulla negligenza è grande come una casa e l’unica verità è quella dei fatti che sono accaduti: verità giudiziale e verità effettuale coincidono. Peraltro Romeo sa anche bene che gli “allontanamenti” sono conseguenza non di un licenziamento, di cui non ha avuto il coraggio, bensì di una messa in mobilità a seguito della ristrutturazione al ribasso della pianta organica, che eliminava cinque dirigenze dopo che qualche mese prima ne aveva creato di nuove per assegnarci come dirigenti in ruoli fittizi. Sa che non è stato possibile parlare di lavoro con lui fin dal suo insediamento e che quando sono riuscito a parlargli – quando era ormai chiara tutta l’orchestrazione per farmi fuori – non è riuscito a guardarmi negli occhi e mi ha spinto nelle braccia degli avvocati. Forse era convinto che il direttore avrebbe potuto essere l’unico responsabile, ma intanto in calce ai provvedimenti ci metteva la sua firma.
L’approccio dei media alla bugia di Romeo sarebbe cosa assai diversa se molti cronisti locali volessero qualche volta usare del tempo per cercare di fare i giornalisti, raccontando ciò che è anziché riferire solo ciò che viene detto loro. Con l’eccezione di qualche buon tentativo di ricostruzione della vicenda, pur nella forzata ristrettezza di poche righe in cronaca, la maggior parte degli articoli usciti sono stati un megafono aperto su qualunque opinione venisse espressa sulla vicenda. Tant’è che chi ha avuto occasione di vedere il TG3 ha potuto pensare che fosse un’altra storia di persecuzione con il povero politico di turno maltrattato dalla magistratura. Fin dall’inizio di questa storia sia i cronisti locali che qualche firma più autorevole del c. d. “giornalismo d’inchiesta” (l’unico che si merita di essere chiamato giornalismo) hanno avuto occasione di investigare ma, con qualche isolata eccezione, quand’anche hanno scritto qualcosa hanno fatto solo da veline. In questi oramai quasi sette anni ci sono stati molti accadimenti insoliti e gravi e ci sono state sentenze – notizie assai più significative del furto del nanetto dal giardino delle suore, cosa che pure merita l’attenzione di certi giornali – ma fin dall’inizio sono stati sottaciuti, talvolta credo appositamente. Troppi, come spesso accade, hanno preferito continuare ad avere dal Palazzo i comunicati quotidiani con cui riempire il loro spazio assegnato dalla redazione anziché fare domande scomode.
Certamente non c’è solo l’ignavia di certi cronisti. Scegliere le notizie rimane pur sempre un fatto di discrezionalità per chi scrive. Ci sono persone invece per le quali non chiudere gli occhi sarebbe un obbligo. Se ricopri un ruolo istituzionale e non fai il tuo dovere puoi anche dimetterti. Se sei all’opposizione e fai finta di non vedere tradisci la fiducia di chi ti ha votato. In questo caso Dante avrebbe scelto una pena e un girone assai più dolorosi di quello destinato a chi scrive.
Fin dalla nascita di questo sito ho voluto dedicare ai tanti amici di Meda e del paesello natio, impegnati come amministratori comunali su fronti contrapposti, alcune righe che vanno sotto il titolo di “Che cos’è l’opposizione”. Poche righe che riprendono le argomentazioni di Vincenzo Picardi, un deputato del giovane Regno d’Italia che non si trova nei libri di storia, contenute nella relazione su alcune questioni comunali, resa pubblica, che l’onorevole era stato incaricato di redigere. Quelle parole ammonitrici rivolte al sindaco, che pure lo aveva incaricato e lo pagava, sono più chiare di un’infinita letteratura sul ruolo dell’opposizione consiliare, di tanti corsi di formazione che si fanno in giro, di mille lezioni accademiche. Non era Cassese o Bassanini – che pure bisognerebbe prendere in considerazione – nell’Italia di oggi: era il paese di San Piero Patti, anni Ottanta dell’Ottocento, Sicilia appena post-borbonica. L’opposizione riceve i voti, dice Picardi, soprattutto per controllare ciò che fa la maggioranza.
A parte qualche timido e formale tentativo di qualche consigliere più attento per le sorti personali dei due dirigenti, l’opposizione consiliare del Comune di Limbiate, che aveva appena finito di amministrare la città, si è vista passare per anni davanti agli occhi, stando immobile lungo il fiume, i cadaveri dei due dirigenti (e quello del principio di legalità) e si è girata dall’altra parte. Si è presto allineata alla logica imposta da Romeo: c’è in corso un giudizio, attendiamo la fine per parlarne! Quale fine? La Cassazione? Ci vogliono dieci anni almeno per arrivarci, passano due mandati e la vicenda rimane sepolta. Per alcuni consiglieri non sono bastate le istruttorie, le sentenze, l’appello, le discussioni sui debiti fuori bilancio, l’indagine della Procura della Corte dei Conti, ecc. per alzare il velo sui comportamenti tenuti da Romeo e Giammarrusti. C’è voluto qualche nuovo consigliere e la citazione davanti alla Corte? Sono passati quasi sette anni da quando questa vicenda è cominciata!!!
Ma l’ignavia riguarda anche il sindacato, la Camera del Lavoro di Milano. Il ricorso al Giudice del Lavoro è partito da Corso di Porta Vittoria ma con il passare del tempo il sostegno che ci aspettavamo si è affievolito sempre di più fino a scomparire del tutto. I giudici spiegano nelle decisioni che gli atti illeciti sono stati compiuti per motivi discriminatori (anche) sindacali. Già la sentenza di primo grado avrebbe dovuto essere utilizzata dalla CGIL come freno a tutti gli abusi che intanto si perpetravano in giro, in anni in cui era già chiaro che la dirigenza era oramai alla mercè del politico di turno, a qualunque partito appartenesse. Ma la dirigenza è quasi una palla al piede : l’idea dei ricchi nella terra dei poveri, ma nella P.A. non è sempre così. Mio padre faceva il calzolaio e ho lavato molte pile di piatti per laurearmi. Gli stipendi di prima fascia sono buoni ma niente in confronto del privato e delle responsabilità e dei rischi. Ci si arriva a pagare la casa, e dopo un sacco di concorsi, se non si vuole essere amico di qualcuno.
Il principio di legalità a Milano contava poco. Il vero aiuto è stato nel trovare per fortuna un buon studio legale. Mi aspettavo almeno una telefonata o una mail dopo la sentenza di primo grado, dopo che avevamo incontrato nei primi tempi un sacco di gente, compreso Panzeri, all’epoca segretario della Camera del Lavoro. Abbiamo avuto corrispondenza con molti livelli, anche UIL e CISL, perfino Epifani. So che ha chiesto di questo disinteressamento, ma non mi ha mai risposto. La sensazione, fin dall’inizio, è stata che il disinteresse fosse tutto legato proprio al fatto di essere dirigenti, con l’idea che in fondo questi cascano sempre in piedi. Una grande sciocchezza che non fa il pari con anni di tessere ed è quanto mai lontana dalla realtà. Il suggerimento era talvolta quello di essere “disponibile” con qualche sindaco rosso. Ho continuato a pagare la tessera anche sullo stipendio ridotto della mobilità, ma non l’ho mai ricevuta.
Su una cosa Romeo comunque ha ragione: pende un ricorso in Cassazione, e potrebbe pure in qualche modo riflettersi sulla Corte dei Conti. Tuttavia ciò che fino ad ora è stato giudicato non è qualcosa di provvisorio, ribaltabile come il secondo tempo di una partita di calcio, a meno di non dimostrare che le testimonianze e i documenti sono falsi e chiedere di rivedere tutto. La decisione del collegio d’Appello è definitiva e la Cassazione vaglierà questioni di legittimità e non di merito, come è nella natura e nelle funzioni della Corte. La vicenda si potrebbe eventualmente allungare ancora. Ma Romeo sa anche che in Cassazione abbiamo ricorso anche noi dirigenti, e se le nostre ragioni verranno accolte il danno per il Comune crescerà ancora.
Il sindaco di Limbiate in fondo è una persona molto fortunata. È rimasto coinvolto in una vicenda in cui ha incontrato due persone anche troppo corrette, io e il mio collega. Abbiamo esperito nel rispetto di tutte le regole e dei tempi canonici tentativi di conciliazione, mentre forse sarebbe stata cosa saggia praticare per prima la strada penale, che forse avrebbe giovato di più sotto il profilo economico, rilevando anche ai fini del danno morale. Abbiamo avuto tutta la pazienza delle più lunghe procedure anche quando sarebbe stato forse possibile calcare la mano. Avessimo saputo che a gennaio del 2008 Romeo avrebbe parlato ancora ai giornali di negligenza ci saremmo comportati diversamente. Rifarebbe le stesse cose che ha fatto? Allora è convinto anche lui di essere una persona decisamente fortunata!
Per quanto riguarda infine la vicenda, in questa pagina essa è ricostruita per sommi capi ma chi vuole approfondire può accedere qui alle sentenze in formato PDF, con le quali il Giudice del Lavoro di primo Grado e quello d’Appello hanno puntualmente ricostruito la verità su come sono andate le cose (anche attraverso i testimoni a discarico citati dal Comune). Sulla base di questa verità, che è l’unica verità, e che è molto diversa da quella che Romeo e Giammarrusti continuano imperterriti a raccontare sui media che gli fanno eco, il Comune di Limbiate è stato condannato nel 2004 e nel 2006 a pagare i danni che ora la Procura della Corte dei Conti chiede a loro.
La Corte dei Conti, almeno da quello che si è letto sui giornali, non si è ancora pronunciata e non ho idea quando potrà farlo. Al momento dovrebbe trattarsi della citazione da parte della Procura davanti alla Corte del sindaco, del direttore generale e dei due componenti del Nucleo di valutazione che, appena nominati, avevano avallato l’operato di Giammarrusti in barba a ogni regola di valutazione e prescindendo da ogni contraddittorio. Si tratta, se si vuole fare un grossolano parallelismo con il diritto penale, di una sorta di rinvio a giudizio. Nei fatti, e come accade davanti ai giudici ordinari, non tutti i processi finiscono con la condanna degli imputati, ma in questo caso la citazione non è costruita solo sull’opinione che il Procuratore regionale si è fatta, bensì su due giudicati e sulle carte processuali che un’altra giurisdizione ha già vagliato. In questa vicenda davanti alla Corte dei Conti non è in questione la presunta colpa dei citati, o il suo grado, ma il loro dolo, e su questa base le probabilità di una condanna sono molto alte. Naturalmente spero proprio che la condanna venga pronunciata.
Alcuni giornali hanno riportato l’ammontare dei danni. Presumo che l’abbiano dedotto dall’atto di citazione, se qualcuno l’ha visto, o forse, più semplicemente, si saranno rifatti tutti quanti ai primi articoli, originati dalle istanze dei consiglieri di opposizione. La cifra riportata e imputata come danno è verosimile, ancorché presumo carente per difetto, corrispondendo a somme indicate in sentenza. Di quella cifra il netto dei danni pagato ai dirigenti dopo le condanne in sede civile è stato ampiamente inferiore (ci sono le tasse sul danno patrimoniale e non solo) ma posso presumere che il Procuratore della Corte dei Conti non abbia volutamente fatto il calcolo esatto di un pagamento non definitivo, indicando come è nelle formulazioni di rito genericamente interessi, rivalutazioni e spese legali, ai quali il Comune di Limbiate è stato condannato. Una somma questa tutt’altro che trascurabile e che fa crescere di molto il danno. A parer mio andrebbero poi considerati ulteriori danni derivanti al Comune di Limbiate dall’intera vicenda, come il fatto di aver pagato l’indennità di mobilità senza agire nei confronti di quegli enti che avrebbero dovuto assumermi ma non lo facevano. Ma non so se il Procuratore li ha presi in considerazione come danni di cui rispondere.
2 ottobre 2006
I visitatori che hanno viaggiato in questo sito e che si sono avventurati in questa pagina hanno finora potuto leggere solamente l’introduzione qui sopra. Nonostante la promessa di raccontare la vicenda, seppure a poco a poco stante la sua lunghezza e la sua complessità, l’appuntamento è stato sempre rimandato. Di questo mi scuso, perché so che più d’uno mi ha inviato solleciti. Ho voluto prima attendere il deposito delle motivazioni della sentenza della Corte d’Appello di Milano e poi il materiale preparato non mi è sembrato ancora sufficiente per far comprendere una storia complicata: i fatti e le circostanze, oltre al filone giudiziario principale che vede protagonisti i vertici del Comune di Limbiate, interessano infatti per via di una ricollocazione avversata in molti modi anche organi e uffici della Regione, della Provincia e di diversi comuni, il Difensore Civico regionale, l’Ispettorato della Funzione Pubblica, diversi livelli sindacali, le forze politiche limbiatesi, la Corte dei Conti. Mi ero ripromesso di seguire un ordine cronologico e di arrivare almeno a un certo punto della storia prima di aggiornare questa pagina. Però in questo modo la pagina era rimasta vuota.
È accaduto tuttavia che nello scorso mese di luglio sulla pagina di Limbiate de “Il Cittadino”, a fianco di un articolo firmato A.M., redatto a commento del riconoscimento di un c.d. “debito fuori bilancio” effettuato dal Consiglio Comunale di Limbiate per pagare i danni conseguenti alla sentenza della Corte di Appello, già scritto in maniera fuorviante rispetto alla vicenda e alla sua sostanza, sono comparse le parole virgolettate del Sindaco Antonio Romeo. Come è accaduto in (poche) altre circostanze in cui la stampa locale si è occupata di questa vicenda, infinitamente più grave di mille altre notizie da cortile cui viene dato risalto, il sindaco di Limbiate commenta apoditticamente e da spiegazioni in maniera che anche una superficiale lettura delle sentenze smentirebbe. Non è che in verità dalla stampa locale ci si possa mai aspettare molto, essendo essa troppo spesso – con poche eccezioni – ridotta per ignavia a mera cassa di risonanza di opinioni altrui e di comunicati ufficiali, ma un minimo sforzo si poteva fare, almeno per onorare la parola “giornale”.
Le motivazioni della sentenza di primo grado, rafforzate, se possibile, da quelle della sentenza di secondo grado, spiegano assai bene ciò che è successo sotto gli occhi dei limbiatesi, delle loro forze politiche e dei loro “cronisti”, per i quali usare il termine ignavia vuol dire usare un eufemismo. E se non dovessero bastare le sentenze, qualche consigliere comunale in crisi di identità (rimando anche alla sezione Finestra sul cortile di questo sito, all’inserto “che cos’è l’opposizione?”) e qualche “giornalista” potrebbe anche andare a vedere quanti e quali dipendenti con responsabilità importanti, al di là della vicenda dei dirigenti, hanno lasciato il Comune di Limbiate nel primo anno dell’amministrazione Romeo, e chiedersi perché.
Ora, anche se di quei commenti di luglio sul Cittadino sono venuto a conoscenza solo in questo ottobre, mi è parso che sia l’articolo di A.M. che, soprattutto, le parole del sindaco virgolettate, meritassero che io facessi almeno uno sforzo, togliendo tempo ad altre più urgenti necessità, e mettessi a disposizione di chi vuole (minimamente) informarsi le due sentenze, qui riportate in formato PDF. In verità, non essendoci, per secolare tradizione, maggiore forma di trasparenza di quello che è il giudicato, le sentenze sono state sempre ampiamente a disposizione, e per molte vie, dei cronisti e dei politici locali che avessero voluto anche semplicemente avere un’opinione. Questa ulteriore disponibilità attraverso il sito si aggiunge solamente, e anche con molto ritardo, alle altre.
Sentenze
Dalla lettura delle due sentenze e da quella combinata di entrambe emergono chiaramente le responsabilità relative alle azioni e ai provvedimenti posti in essere dal sindaco Romeo e dall’allora direttore generale Mario Giammarrusti nei confronti dei dirigenti (già, al plurale, perché tutta la vicenda riguarda anche il mio compagno di sventura, e non solo). Le parole con il quale egli afferma che “Il fatto che oggi la sentenza definitiva non abbia richiesto il reintegro dei due dipendenti e non abbia riconosciuto il danno morale, mostra come sia stata compresa la posizione del Comune” e che “Qui c’è stata una parziale ma significativa riforma, che ha ridotto il risarcimento” fanno intendere che anche il Comune in tutta questa vicenda avesse anche le sue buone ragioni. Chi ha la pazienza di leggere con attenzione proprio le sentenze può invece correttamente intendere cose ben diverse.
Per aiutare a capire chi non è abituato al linguaggio tecnico giuridico è comunque opportuno dare una mano su alcuni passaggi. Intanto, chi ha davvero la pazienza di leggere le motivazioni del mancato reintegro si trova davanti a talune “vaghezze” da far fatica veramente a comprendere le correlazioni con la parte sostanziale che porta alla pesante condanna del Comune di Limbiate. Per quanto riguarda il fatto che in appello non sia stato confermato il danno morale ma solo il danno all’immagine (come se questo non bastasse a rendere grave la sentenza) chi legge le motivazioni può vedere che esso è messo in relazione dalla Corte con il mancato riconoscimento di reato. Ciò in verità non sarebbe stato semplice in ambito civile, ma il fatto che finora, anche in vista del reintegro, non abbiamo preso in considerazione l’aspetto penale, non vuol dire che questa strada sia stata tralasciata per sempre. Sotto l’aspetto del reintegro e del danno morale la vicenda in sede giudiziale è quindi tutt’altro che conclusa.
Anche A.M., autore dell’articolo sul Cittadino fa della vicenda una ricostruzione deformata, dando l’impressione che in fondo si sia trattato di fatti legati alla riorganizzazione del Comune che, certamente, ogni amministrazione può fare nella sua autonomia, tant’è che riporta alla giunta Fortunati il fatto di avere chiamato i due dirigenti e aver riorganizzato il Comune. Intanto è utile precisare che non sono stato “chiamato” ma sono stato io a chiedere all’epoca la mobilità, secondo le regole previste, sul posto di responsabile dei Servizi al Cittadino vacante nella pianta organica comunale. L’ho fatto per esigenze di avvicinamento dovute a problemi familiari di salute e provenivo dal Comune di Legnano, dove facevo già il dirigente, nominato tale a seguito di concorso con molti partecipanti. Chi legge le sentenze comprende comunque facilmente come l’aspetto della riorganizzazione comunale, certo servito all’attuale amministrazione per opporsi al reintegro in virtù dell’appiglio della sua autonomia organizzativa, sia del tutto secondario nella vicenda che porta alla condanna del comune di Limbiate, il meno significativo, anche se concretamente è quello che ha consentito la nostra estromissione. Quale fosse la via della riorganizzazione della nuova organizzazione all’inizio del mandato della nuova amministrazione limbiatese è del resto difficile comprendere: nell’estate del 2001 il Comune viene autodeclassato alla fascia inferiore, in autunno viene creata una nuova dirigenza per i soli servizi sociali considerati più importanti (e per togliermi da Villa Mella), in occasione del nuovo bilancio si parla di potenziamento dei servizi, in primavera 2002 si creano due nuove dirigenze di staff per studio e innovazione (e lì ci spostano a far niente), e un paio di mesi dopo si cancellano cinque dirigenze su sei perché il comune ha meno cose da fare e le dirigenze non servono! Tranne quella dell’Ufficio Tecnico: perché poi proprio e solo quella?
A.M. che ha scritto l’articolo sul cittadino non comprende, come lo stesso giornale non ma mai voluto ben comprendere, la natura e il perché delle condanne del Comune in primo grado e in appello. Se i problemi fossero legati a involontari errori di valutazione e di autonomo e legittimo percorso riorganizzativo non si capirebbe certo perché il Comune di Limbiate debba pagare diverse centinaia di migliaia di euro di danni patrimoniali, professionali e di immagine, e la questione si dibatte anche intorno al danno morale. Quello che è del tutto evidente dalle sentenze è che invece il comune è stato condannato per le condotte illecite del sindaco Romeo e del direttore Giammarrusti nei confronti dei due dirigenti nel corso del primo anno del mandato amministrativo. E non sono illiceità di poco conto, finite in tribunale perché a due persone esasperate non era stata lasciata alcuna alternativa, anche se più volte abbiamo cercato di portare in conciliazione le questioni. Lo strumento della conciliazione avrebbe potuto risolvere molti problemi e fatto risparmiare molti soldi al comune e ai contribuenti limbiatesi, ma l’amministrazione ha sempre snobbato questa via, finendo per ottenere il bel risultato di trovarsi poi due condanne.
Se A.M. avesse voluto farsi un’opinione leggendo le due sentenze avrebbe potuto ragionare sulle parole dei giudici. Gliele ricordo, utilizzando in particolare quelle, virgolettate, del giudice di primo grado, il cui impianto, per quel che riguarda le penose storture a cui siamo stati sottoposti, ha del tutto confermato anche la sentenza di secondo grado.
Mediante diverse testimonianze, la cui lettura sarebbe amaramente esemplificativa di un metodo di lavoro che ha fatto scappare molti, il Giudice del Lavoro ha appurato che, “la decisione di estromettere i ricorrenti dal Comune di Limbiate [fu] comunicata fin dal momento di insediamento della nuova Giunta e dalla nomina del nuovo Direttore Generale e per motivi estranei alla professionalità dei ricorrenti ed alla riorganizzazione del Comune”. “Le motivazioni furono senza alcuna riserva rese esplicite fin dal settembre 2001”. Il nuovo Direttore Generale anticipò ai nostri collaboratori “che ci sarebbero stati molti cambiamenti e che questi avrebbero riguardato i due dirigenti e il comandante dei vigili urbani. Disse anche che non discuteva della professionalità dei tre ma sottolineava che c’era una forma di incompatibilità ambientale per il loro schieramento politico …” [!!!]. Più testimoni hanno affermato che costui andava dicendo che “queste persone non potevano più continuare a lavorare …”, “invitò a non intrattenere rapporti con queste persone malgrado fosse il mio superiore gerarchico …”, “aveva dato tempo a tali dirigenti per trovarsi altro posto di lavoro e [che] aveva consigliato loro un periodo di ferie ed avrebbe tollerato la loro presenza se fossero rimasti ai margini …” . Al personale che continuava ad avere rapporti con noi veniva detto di considerarsi “sotto osservazione”. Nelle relazioni con i nostri collaboratori sindaco e direttore generale non mancavano oramai di far sapere che “a breve sarebbero stati fatti degli atti che avrebbero eliminato tali dirigenti”. Le effettive motivazioni venivano “platealmente esplicitate”. Passò solamente qualche mese e “alle esplicite motivazioni di carattere politico seguirono le contestazioni di addebiti disciplinari”.
Il Giudice ha indagato in modo approfondito sulle accuse che ci erano state rivolte, interrogando diverse persone, comprese anche quelle richieste dall’Amministrazione, e ha ritenuto che i testi “hanno confermato l’insussistenza degli addebiti mossi ai ricorrenti”. Il fatto che poi, anche su questo aspetto, non siano stati rispettati da parte dell’Amministrazione i previsti sistemi di garanzia è stato accertato dal Giudice: “è già palese che l’attività dei dirigenti è stata negativamente valutata, non secondo criteri oggettivi stabiliti dall’ordinamento, ma in base a valutazioni personali del Direttore Generale e del Sindaco non ancorate a previsioni di legge e di contratto … “.
Il giudice del lavoro chiude le proprie motivazioni con un’affermazione che non è facile riscontrare nelle sentenze: “L’analisi della normativa è in sostanza pleonastica in considerazione di quanto in precedenza svolto e dalle affermazioni dei testi che costituiscono valida prova e non solo meri indizi della motivazione discriminatoria dei provvedimenti adottati nei confronti dei ricorrenti”. Rimossi dagli incarichi, venimmo privati di ogni collaboratore e isolati dietro a una scrivania e a un computer vuoti (“entrambi sono rimasti emarginati e totalmente inattivi come hanno confermato i testi escussi”). Il Giudice del Lavoro ha così riconosciuto che “i motivi discriminatori , politici e sindacali, posti a base della decisioni dell’Amministrazione convenuta comportano la nullità degli atti impugnati, inoltre l’escussione dei testi ha confermato l’infondatezza dei singoli addebiti posti a base del procedimento per responsabilità amministrativa a carico dei ricorrenti”.
Il Comune di Limbiate è stato così condannato al risarcimento di una serie di danni, soprattutto in considerazione del fatto che “la mancata utilizzazione dei ricorrenti nelle loro mansioni, alle quali era stati addetti da anni , ha comportato un depauperamento del loro bagaglio professionale che si traduce in un danno patrimoniale di non scarso rilievo se si considera la serietà del demansionamento, il lungo periodo durante il quale il demansionamento si è protratto e la delicatezza delle mansioni loro sottratte”. I danni diversi da quelli patrimoniali e professionali sono stati riconosciuti per “le modalità con le quali i ricorrenti sono stati ingiustamente oggetto di contestazione , posti in stato di inattività e successivamente estromessi dall’amministrazione comunale”.
Ora, certo basterebbero queste poche righe, una sintesi dell’opinione che si sono fatti i giudici che più “sintetica ” non si può rispetto alle molte pagine delle sentenze e ai faldoni di documenti visionati, per farsene una propria. Non appena avrò tempo questa vicenda sarà qui raccontata per intero, organizzata cronologicamente e senza trascurare, come dicevo sopra, i molti attori di contorno, che hanno contribuito con la loro inerzia e le loro omissioni a rendermi la vita ancora più complicata. Per il momento forse può bastare la precisazione che qui ho voluto fare rispetto a quanto scritto sul Cittadino a luglio. Dice ancora in quella occasione il sindaco Romeo che attende fiducioso “la corte dei Conti e se il sindaco, o altri, dovranno risponderne, siamo pronti a farlo”. Anche io attendo fiducioso, ma certo in un altro senso, la “Corte dei Conti”, la stessa davanti alla quale mi sono dovuto difendere fino al 2005 dagli addebiti del comune di Limbiate e con il successo di chi ha la coscienza professionale a posto.
E’ questa una storia destinata a essere ancora più lunga! E non ci saranno solamente e magistrature contabili. Per il momento comunque continua a pagare il contribuente limbiatese, che ha pagato gli stipendi ai dirigenti perché questi fossero costretti a far niente quando erano lì e ha pagato gli stipendi anche quando non erano più a Limbiate. Spero che almeno qualcuno ci faccia sopra una giusta riflessione!
2 ottobre 2006