Binario della vita, ogni tanto con qualche scambio. E fermate, come quelle che ci sono lungo il percorso della vita: alle stazioni più importanti come a quelle secondarie. Dove capita, in attesa del verde: perché sono previste o per qualche incidente. Con la fretta di arrivare dove non si arriva, qualche volta godendo del panorama e altre volte calcolando semplicemente il tempo che manca per la prossima fermata più importante. O contando quante ne mancano ancora. In fondo i curriculum, le pagine “chi sono”, e altre forme simili, sono la stessa cosa delle stazioni, dei binari e del treno. I viaggi poi: non riusciamo mai a completarli fino in fondo!
- La prima fermata del viaggio di cui ho un ricordo abbastanza chiaro arrivò a quattro anni e fu proprio una fermata, nel senso che dovevo stare fermo. Traumatica per un bambino, quanto basta per costituire un ricordo chiaro e duraturo nonostante la mia giovanissima età. Per qualche motivo che doveva essere comune ad altri genitori, i miei avevano deciso di portarmi per una mezza giornata da una signora che teneva i bambini, di cui taccio il nome per diversi e opportuni motivi: una specie di micronido privato di oggi, solo una scalinata e qualche vicolo oltre le case dei miei nonni materni e paterni che frequentavo ogni giorno (distavano tra loro un metro o poco più, nella parte araba del paese). Il micronido consisteva in una stanza vuota, in cui si stava – io e altri tre o quattro disgraziati bambini, un paio dei quali li ritrovai poi in classe a sei anni alle elementari – seduti su una sedia attaccata al muro, ognuno a una parete della stanza. Tutto il tempo, sorvegliati dall’anziana madre della signora. Non ho idea di quanto durò quella sorta di tortura, per me che ero abituato a scorrazzare libero fino ad allora, ma so che a un certo punto devo aver costretto in qualche modo mia madre a venirmi a liberare.
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L’anno dopo, o solo pochi mesi dopo, non ricordo, comunque a cinque anni, mi ritrovai all’asilo, dalle suore. Per i miei forse la decisione non fu facile, famiglia socialcomunista e lontanissima da preti e suore, ma in paese quello c’era, ed era una istituzione. Un anno di figurine ritagliate col puntuerolo e incollate su un album, di prove per la recita, di amici che non ho più visto – all’epoca non lo sapevo ma eravamo in pieno boom migratorio – di corse per corridoi, terrazzo e cortile coi fiori, che mi sembravano immensi. Un anno veloce, fermata per modo di dire, divertente se non fosse stato per quel sonno pomeridiano obbligatorio, ovviamente sulla sedia e con la testa sul braccio, appoggiato ai bassi tavolini verdi che servivano per tutti. La mia robusta costituzione, e il non voler dormire, mi hanno probabilmente salvato da futuri problemi alla colonna vertebrale.
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La fermata della scuola elementare, come è per tutti, durò più a lungo, e soprattutto mi diede la possibilità di incontrare molti compagni di viaggio, alcuni che non vedo da allora, altri da quando il lavoro ha sostituito lo studio (si fa per dire, dato che non ho mai smesso di studiare, anche giusto per lavoro), altri che incontro sempre con piacere quando posso tornare in Sicilia. Troppe le cose importanti a questa fermata, troppe quelle accadute, per condensarle in qualche riga. Maestra severa, che aveva iniziato la sua missione negli anni Venti ed era ormai a fine carriera: cinque anni con noi alunni sempre in classe a invidiare gli altri bambini della scuola che giovavano vocianti nel cortile, sempre massima attenzione, lo studio in classe. Ma in quel modo, tornato a casa era solo gioco, e soprattutto, grazie alla maestra, furono quasi un gioco anche le medie e il liceo. Fra le molte cose di quegli anni che col tempo ho pensato fossero state più significative e influenti, ricordo certi banchi che in prima e seconda diventavano vuoti all’improvviso – l’emigrazione galoppava nella prima metà degli anni Sessanta – le merende delle compagne, quasi coccole per l’avvenire, e le riunioni carbonare in quarta e quinta elementare, un cerchio ristretto coi suoi riti, che anticipava il ’68 di noi bambini.
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Gli anni della scuola elementare sono anche quelli in cui ti fermavi al catechismo. Con due signore che mi sembravano più che anziane. Alla fine dei cinque anni, poco prima di fare la prima comunione, mi furono date anche cinque tesserine col mio nome, e scoprì allora che ero stato fiamma bianca, fiamma verde e fiamma rossa di Azione Cattolica. Le portai a casa ma non fui più buono di ritrovarle in qualche cassetto. Che c’entrasse il fatto che erano anni di grandi divisioni tra i partiti nazionali e che pure in paese non mancassero tensioni, con la Dc che con l’aiuto della parrocchia stava fagocitando gran parte dell’elettorato che dopo la guerra era stato soprattutto di sinistra?
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Troppo presto per parlare delle altre fermate e del resto del percorso ….